“Mosè in Egitto” e “Nabucco” non sono nati dal nulla. Lo scopriamo in “La Bibbia all'opera”, approfondito excursus di Franco Piperno sul “sacrodramma” quaresimale.
Critica e musicologia rossiniane – anche vicine a noi – hanno sempre visto nel Mosè in Egitto rossiniano un lavoro sui generis, isolato non solo nella produzione del Pesarese, ma persino nel panorama artistico di quegli anni: il capostipite di un filone operistico innovativo che sarebbe sfociato (e terminato) nel Nabucco verdiano.
Tuttavia, come dimostra Franco Piperno nel recentissimo suo saggio “La Bibbia all'opera” pubblicato dall'editore NeoClassica, così non è.
Nulla è come sembra
Il capolavoro di Rossini infatti altro non è che l'apice del particolare genere del sacrodramma, cioè dei drammi per musica di soggetto tratto dal Vecchio Testamento. Genere comparso nell'ultimo quarto del '700 prima a Firenze, e subito dopo a Napoli dove raggiunse i suoi maggiori esiti. Di qui la sua diffusione fu enorme, trovando ovunque positiva accoglienza. Al punto che titoli quali La distruzione di Gerusalemme (1785) e Debora e Sisara (1788) scritti per il San Carlo da Carlo Sarnicola - musica di G. Giordani il primo, di P. A.Guglielmi il secondo - ancora giravano infatti per l'Italia ad Ottocento inoltrato.
Le caratteristiche formali ed esteriori erano le stesse del melodramma tradizionale – comprese la presenza di grandi virtuosi e l'impiego di spettacolari scenotecniche – ma le rappresentazioni cadevano nel periodo di Quaresima. Quando, cioè, finita la stagione di carnevale i teatri si erano sempre fermati. Ottimo escamotage per aggirare i divieti chiesastici, adottando storie tratte generalmente dalla Bibbia (o quantomeno di argomento edificante), e personaggi quali Jefte, Giuditta, Debora, Saul e Davide.
Nasce a Firenze, esplode a Napoli, muore a Milano
Dal 1776, anno di messinscena della Betulia liberata al Teatro alla Pergola di Firenze in poi, vi si cimentarono in tanti: oltre a Piccinni, Zingarelli, Cimarosa, pure il giovanissimo Rossini di Ciro in Babilonia (1812). Pressoché tutti in quel di Napoli. In questo suo acuto saggio, Franco Piperno individua, commenta e documenta con completezza nascere e svilupparsi del fenomeno del dramma sacro, che avrebbe trovato l'apice nel Mosè in Egitto di Rossini (Teatro San Carlo, 1818) con tale e tanto successo, da sancirne di fatto la fine.
Pochissimi compositori dopo di lui, infatti, osarono cimentarsi in tal genere che, in verità, stava declinando nell'interesse generale indebolendosi le proscrizioni ecclesiastiche. Attenendosi all'ormai ineludibile esempio rossiniano lo fecero Donizetti con Il diluvio universale (ancora al San Carlo, 1830) e il giovane Verdi, che il Nabuccodonosor lo scrisse proprio per la stagione quaresimale 1842 della Scala, foggiando l'estremo esito di questo repertorio.